Case Green: l’Europa pronta a riconsiderare la direttiva?

Autore:
Elisabetta Coni
  • Perito per il turismo

La direttiva Case Green sta scuotendo l’Europa, con dibattiti politici e preoccupazioni economiche. Scopri i punti critici, i cambiamenti previsti e le sfide future dell’efficienza energetica in Europa.

Case Green: l’Europa pronta a riconsiderare la direttiva?
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La direttiva Case Green (COM 2021/802) sta suscitando un acceso dibattito in Europa, e non è difficile capire il perché. Questa normativa, volta a promuovere l’efficienza energetica degli edifici, ha il potenziale per avere un impatto significativo sulle prossime elezioni europee. Il Parlamento attuale, e le forze politiche che rappresenta, stanno valutando attentamente se votarla nella sua forma attuale, temendo un possibile effetto boomerang.

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Molte critiche si sono concentrate sulla presunta rigidità della Direttiva e sui possibili danni che potrebbe infliggere a diverse economie europee, comprese quelle avanzate. La mancanza di flessibilità nel considerare le richieste di modifica provenienti dai partner europei potrebbe avere ripercussioni negative sulla rielezione politica.

Direttiva Case Green, i punti critici

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Ci sono diversi punti critici nella direttiva Case Green che sollevano preoccupazioni legittime. Ad esempio, il blocco delle vendite o degli affitti per gli immobili con una classe energetica inferiore a D è stato oggetto di molte critiche. Entro il 2033, tutte le abitazioni devono raggiungere almeno la classe D, il che può essere problematico per gli edifici storici, difficilmente ottimizzabili.

In Italia, oltre il 70% delle residenze si trova attualmente sotto la categoria D, secondo il Sistema Informativo degli Attestati di Prestazione Energetica (SIAPE). Anche se la categoria E è protetta dalla Direttiva fino al 2030, il rischio di avere un eccesso di edifici inutilizzabili entro il 2033 è concreto, colpendo oltre 12 milioni di edifici di proprietà di famiglie con redditi limitati. Questo è un problema particolare per l’Italia, dove molte abitazioni sono di proprietà di famiglie e non di multinazionali. Le spese elevate per l’efficientamento energetico ricadrebbero sulle famiglie, molte delle quali potrebbero non essere in grado di sostenere tali costi.

Cambiamenti nella direttiva: approccio e fiscalità

La Commissione Europea ha recentemente avviato discussioni per rivedere la direttiva Case Green. L’obiettivo è trovare un equilibrio tra gli obiettivi di sostenibilità e le preoccupazioni economiche dei Paesi membri. Tuttavia, c’è il timore che si possa optare per parametri più stringenti per definire i fabbricati a zero emissioni, rendendo la situazione ancora più complicata.

La fiscalità è un altro aspetto problematico della Direttiva. Mentre sono stati menzionati incentivi fiscali e fondi, la direttiva contiene solo dichiarazioni di principio su questi argomenti. Anche l’uso delle caldaie (compresi i sistemi ibridi) e il pacchetto di deroghe ed eccezioni per i paesi membri sono questioni ancora poco chiare.

Direttiva Case Green, come sarà il futuro?

Supponiamo che la Commissione Europea decida di non apportare modifiche significative alla direttiva Case Green. Ciò potrebbe costringere l’Italia a pianificare un Piano Case che richiederebbe decine di miliardi di € nei prossimi dieci anni, probabilmente superando l’attuale offerta di bonus fiscali e Superbonus vari. La ristrutturazione di edifici storici sarebbe difficile, e anche quelli più recenti potrebbero essere ostici da ristrutturare entro il 2027.

Per affrontare questa sfida, il Superbonus dovrebbe essere riformato per garantire la cessione del credito e la copertura al 100% per i condomini popolari e le fasce a basso reddito. Inoltre, dovrebbe essere semplificato e offrire nuove detrazioni per garantire che gli italiani non siano gravati dai costi delle ristrutturazioni e dalla svalutazione del loro patrimonio edilizio.

È importante notare che gli edifici oggetto della direttiva rappresentano solo lo 0,06% delle emissioni globali di CO2, mentre l’Europa contribuisce solo al 7,8% delle emissioni mondiali di CO2. Pertanto, è necessario un ripensamento dell’approccio, con un focus su modalità più circostanziate, costi effettivi, priorità per gli edifici che richiedono interventi urgenti e una nuova calendarizzazione, magari spostando l’obiettivo al 2050 invece che al 2030-2033.

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