Affitti brevi: arriva la sentenza che impone la cedolare secca ai portali
Affitti brevi: una sentenza impone ai portali di pagamento della cedolare secca. L’apprezzamento di Federalberghi.
I portali di prenotazione sono ora tenuti all’obbligo di riscuotere e versare la cedolare secca sugli affitti brevi, come stabilito nella sentenza del Consiglio di Stato numero 9188 emessa il 24 ottobre. Questa decisione accoglie le indicazioni precedentemente fornite dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Affitti brevi con più trasparenza: sarà davvero possibile?
Federalberghi ha reagito prontamente alla notizia, che velocemente ha fatto il giro sulle principali testate giornalistiche. L’associazione di categoria fa sapere che confida nel Consiglio di Stato metta possa finalmente dettare la parola fine sulla lunga diatriba in essere, per oltre sei anni.
In questo lungo lasso di tempo infatti Airbnb ha cercato in tutti i modi di evitare il dovuto adeguamento alle leggi in vigore in materia di regolamentazione degli affitti brevi, trovando di volta in volta una possibile via di accomodamento. Oggi più che mai l’obiettivo principale è quello di andare a promuovere un’efficace trasparenza, nel mercato degli affitti brevi.
Ecco quindi che la federazione alberghiera enfatizza il suo rinnovato impegno a collaborare con l’Agenzia delle Entrate. Ciò è volto a raggiungere l’obiettivo di una maggiore trasparenza, nell’interesse di tutti gli operatori. Non è nuovo il concetto che l’evasione fiscale e la concorrenza sleale possano andare a minare gli sforzi messi in campo dalle imprese turistiche tradizionali. Così come verrebbe vanificato il lavoro di gestione nelle regole, attuato dalle nuove forme di accoglienza.

Agenzia dell’Entrate sul piede di guerra, con Airbnb
Riguardo alla richiesta dell’Agenzia delle Entrate rivolta ad Airbnb di pagare 500 milioni di euro di tasse arretrate ci si augura che non vengano fatti sconti di alcun tipo, all’azienda statunitense. Anzi l’auspicio è che questa venga sollecitata a versare l’intero importo delle tasse non pagate negli anni. Ovviamente con in aggiunta tutte le sanzioni e gli interessi maturati.
Aigab (Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi) si è fatta sentire sulle pagine di settore e non solo, esprimendo preoccupazione riguardo all’ipotesi di un aumento della cedolare secca al 26% per gli affitti brevi. Secondo Aigab, un aumento dell’imposta potrebbe incentivare l’evasione fiscale.
Se da un lato l’entrata in essere della cedolare secca potrà rendere il pagamento delle tasse più conveniente e semplice, il suo aumento dal 21 al 26% potrebbe spingere i proprietari degli immobili ,verso pratiche talvolta sommerse. Ciò avrebbe il fine di andare ad evitare l’elevata imposta fiscale, favorendo nuovamente l’evasione.
Arriva la cedolare secca per gli affitti brevi
L’Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi invita il Governo ad affrontare il problema concentrandosi sulla rapida implementazione di una Banca Dati nazionale. Ciò dovrebbe favorire l’incrocio in automatico e in tempo reale, dati già noti all’Agenzia delle Entrate. Volendo fare due conti in tasca ai gestori delle strutture volte agli affitti brevi, la loro rendita si attesterebbe al 35% del totale degli incassi.
Da questa cifra complessiva, è necessario sottrarre la cedolare secca (21% o 26% se confermata), i costi relativi alle utenze (tra cui circa 3.000 euro per elettricità, gas, Wi-Fi, Tari, Tasi, Imu), i costi di pulizia (corrispondenti al 10% degli incassi) . Da non dimenticare poi di aggiungere i costi legati ai portali online (20% degli incassi).

Perché per lo Stato sarebbe un autogoal?
È evidente che se l’aliquota della cedolare secca venisse aumentata al 26%, lo Stato potrebbe aspettarsi un calo delle entrate. Infatti i proprietari degli immobili potrebbero preferire affittare per meno giorni o addirittura in modo non dichiarato. Questo perché eviterebbero di affrontare i complessi oneri legati alla gestione online, e consegnare una percentuale così elevata al fisco.
Sono in molti quelli che si stanno chiedendo se effettivamente la misura prevista dalla nuova Legge di Bilancio possa rivelarsi a tutti gli effetti come un vero e proprio autogol dello Stato. Forse chi sta progettando queste norme per il governo dovrà mettere a fuoco ulteriormente l’intricata situazione.
Infatti gli affitti brevi , di cui in maggioranza gestiti dal colosso Airbnb, rappresentano un’industria dal valore di circa 11 miliardi di euro, in termini di prenotazioni dirette. Si manifesta quindi un indotto aggiuntivo di circa 44 miliardi di euro, portando il totale a circa 57 miliardi di Pil.
Questi calcoli includono anche gli impatti positivi generati dalle ristrutturazioni, l’arredamento e la manutenzione. Inoltre ora più che mai per i cittadini italiani che vivono situazioni lavorative molto precarie, proprio gli affitti brevi costituiscono un mezzo legittimo, per integrare il proprio reddito.