Caravaggio: Esperienze, stile, vita privata, dipinti

Autore:
Sophia Trozzo
  • Double Minor in Philosophy

Senza dubbio da classificare fra gli artisti più “rivoluzionari” di sempre per la travolgente forza di rottura delle sue opere rispetto alle teorie e tecniche pittoriche contemporanee, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio ebbe un destino singolare – una gloria precoce, una vita avventurosa, una fine prematura, solitaria e miserabile – che ne ha fatto un personaggio leggendario, affascinante e maledetto, capace di affascinare per tre secoli.Solo in tempi recenti, grazie agli importanti studi di storici stranieri e italiani è stato possibile correggere o precisare molti aspetti della sua vita e modificare sensibilmente il giudizio sulla sua opera.

Caravaggio

Caravaggio: Esperienze di vita

Michelangelo Merisi figlio di Fermo e Lucia Aratori, nacque a Milano il 29 settembre 1571 e fu battezzato il giorno seguente nella parrocchia di Santo Stefano in Brolo: a lungo, in passato, si è creduto che la città di nascita fosse Caravaggio, nel bergamasco, da cui deriva l’appellativo con cui egli è stato tramandato.

Attivo a Roma, Napoli, Malta e in Sicilia fra il 1593 e il 1610, è considerato il primo grande esponente della scuola barocca e uno dei più celebrati pittori del mondo.

La sua vocazione artistica si manifestò molto presto, dal momento che, appena tredicenne, entra come allievo nella bottega del pittore bergamasco Simone Peterzano (allievo di Tiziano e attivo a Milano), affermando così la propria discendenza dal maestro veneziano.

Il suo apprendistato si prolungò per circa quattro anni, durante i quali apprese la lezione dei maestri della scuola lombarda e veneta. Il 6 aprile 1588 scadeva il contratto con il suo maestro; il giovane pittore probabilmente in quegli anni abbandonò Milano per trasferirsi a Venezia, per conoscere da vicino l’opera dei grandi maestri del colore, Giorgione, Tiziano e Tintoretto.

La data del suo passaggio a Roma fu probabilmente intorno al 1589-90, quando il Caravaggio aveva tra i sedici e diciassette anni trascorrendo i primi giorni in “nera miseria”.

Egli si accomoda a giornata prima presso un Lorenzo Siciliano, poi con il senese Gramatica. Approdò in seguito alla corte del Cavalier d’Arpino, uno dei pittori più in voga negli ambienti della committenza romana. Gli insegnamenti del d’Arpino non appagavano il giovane pittore che si sentiva poco stimolato da ciò che il maestro gli proponeva.

Questa sua insoddisfazione fu motivo di litigio tra i due e il pessimo carattere dell’allievo portò alla rottura del rapporto con la bottega del Cesari. Spinto dalla voglia di affermazione decise di “stare da se stesso”.

E proprio in questo periodo i biografi meglio informati ci segnalano i più noti quadri della sua prima fase come “Il Bacco” , “Il riposo dalla fuga d’Egitto” , “Il giovinetto morso dal ramarro”; opere in cui l’artista già si dimostrava padrone di un suo nuovo inedito modo di dipingere e di vedere, ma non per questo meglio accolto.

Il primo biografo competente, il Baglione, ci comunica che i primi quadri del Caravaggio furono “da lui nello specchio ritratti” riuscendo ad esibire in un solo quadro più vedute di una stessa figura.

E’ possibile insomma che provasse ad attenersi al sodo dello specchio vero che gli dava finalmente il vano della visione ottica già colmo di verità e privo di vagheggiamenti stilizzati.

Nel 1595 conobbe il suo primo protettore: il cardinal Del Monte, grandissimo uomo di cultura ed appassionato d’arte che, incantato dalla sua pittura, acquistò alcuni dei suoi quadri.

Il giovane Caravaggio entrò al suo servizio, rimanendovi per circa tre anni. La fama dell’artista grazie al suo importante committente cominciò a decollare all’interno dei più importanti salotti dell’alta nobiltà romana.

I dipinti realizzati dal Caravaggio quando inizia a dipingere “per se stesso” non erano neppure in grado di intitolarsi: “un putto morso da un racano”, “un fanciullo che monda una pera con il coltello” celano un nuovo contenuto e cioè che egli non aveva dipinto che i suoi “simili”, ossia personaggi che venivano direttamente dalla strada, gente umile e povera che egli usava frequentare quotidianamente.

Tutto ciò non gli avrebbe fatto fare tanta strada ma lo metteva solo in cattiva luce come pittore di “novità sospette perché senza decoro”.

Ed è proprio a Roma che svolge gran parte della sua attività, indirizzata verso il genere della natura morta sconosciuta ai romani. “Tanta manifattura gli era fare un quadro buono di fiori come di figure”.

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Caravaggio: Nuovo stile

Grazie alle commissioni e ai consigli dell’influente ed illuminato prelato, Caravaggio mutò il suo stile: abbandonando le tele di piccole dimensioni ed i singoli ritratti e cominciando a dedicarsi alla realizzazione di opere complesse con gruppi di più personaggi che interagiscono tra loro, descrivendo all’interno di un’ambientazione un episodio specifico.

Inoltre escogitò gli scuri per dare oltre che rilievo ai corpi anche la forma alle tenebre che li interrompono passando anni a scrutare l’aspetto della luce e dell’ombra incidentali.

Grazie all’aiuto del cardinal Del Monte, ricevette la prima commissione pubblica per due grandi tele da collocare all’interno della cappella Contarelli nella Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma.

I dipinti che Caravaggio doveva realizzare riguardavano degli episodi tratti dalla vita di San Matteo: la Vocazione ed il Martirio di San Matteo.

Contemporaneamente gli fu chiesta la realizzazione di una terza tela di destinazione pubblica per la Chiesa di San Luigi dei Francesi: il San Matteo con l’Angelo di cui la prima versione fu rifiutata dai preti di San Luigi perché tutto ciò esemplifica chiaramente uno dei principali aspetti della “rivoluzione” caravaggesca, ovvero il rifiuto della tradizionale identificazione di bello con buono, di brutto con cattivo.

Caravaggio: Lo spazio privato dell’artista

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Cogliamo anche un aspetto più privato della vita del pittore. La giornata del Caravaggio che ha naturalmente molti strati. Nulla vieta di immaginarlo il mattino, come un giovine melanconico e barbuto, di spiarlo nelle ore di luce e di lavoro mentre muove a segno lo specchio o l’imposta della camera buia, di seguirlo quando il sole è già virato, negli atti della sua vita d’incontro: la pallacorda; le donne; l’osteria, con gli amici di ogni ceto e nazione; gli schiamazzi notturni, le parolacce alla polizia, i giorni di carcere.

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L’anima del Caravaggio

La particolare tecnica pittorica e realizzativa di Caravaggio, fu una delle chiavi del suo successo. Fino al suo avvento nella pittura, lo stile che caratterizzava la maggior parte degli artisti era estremamente legato ad un tipo di cultura accademica che si basava prevalentemente sullo studio dell’arte classica, con forti influssi derivati dai grandi protagonisti del periodo d’oro del Rinascimento italiano, su tutti le figure di Michelangelo e Raffaello, nel centro Italia; per quanto riguarda il settentrione la pittura si rifaceva soprattutto a Tiziano, Correggio e Leonardo.

La rivoluzione di Caravaggio sta nel naturalismo della sua opera, espresso nei soggetti dei suoi dipinti e nelle atmosfere in cui la plasticità delle figure viene evidenziata dalla particolare illuminazione che teatralmente sottolinea i volumi dei corpi che escono improvvisamente dal buio della scena. Sono pochi i quadri in cui il pittore lombardo dipinge lo sfondo, che passa nettamente in secondo piano rispetto ai soggetti, i veri e soli protagonisti della sua opera.

Per la realizzazione dei suoi dipinti, Caravaggio nel suo studio posizionava delle lanterne in posti specifici per far sì che i modelli venissero illuminati solo in parte, lasciando il resto del corpo nel buio dell’ambiente.

Caravaggio: Ritornando ai suoi dipinti

Caravaggio chiede di sostituire il vecchio San Matteo con una seconda versione che meglio accompagni le due storie collocate sulle pareti della cappella Contarelli. Tra il 1600-01 per ordine del monsignor Tiberio Cerasi, che aveva acquistato una cappella della chiesa romana di Santa Maria del Popolo, gli vennero commissionati due dipinti: la Crocefissione di San Pietro e la Conversione di san Paolo.

I due dipinti dovevano essere condotti su tavola di cipresso e anticipati da modelli. Il Caravaggio, dopo le esperienze nella “stanza con le pareti tinte di nero”, è ormai signore delle tenebre e le disserra quel tanto che occorre a non diminuire il suo tragico pessimismo.

Nella prima tavola, “la Crocifissione di San Pietro” il pittore “gira” la fatica dei serventi, che in realtà sono operai e non carnefici, tutti in brache frusti, piedi fangosi e con pochi attrezzi. Riprende da vicino il santo già infitto alla croce, ci guarda calmo, già cosciente di ciò che gli è accaduto.

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Anche nella seconda tavola, “la Conversione di Saulo” si tratta di un dramma trascendente come la folgorazione di Saulo sulla via di Damasco. Caravaggio traduce il suo dipinto in questo modo: “mentre il temporale inzuppa le sponde dell’Aniene, un fulmine atterrisce i sergenti, fa inalberare il cavallo che ha già scosso Saulo con le mani sugli occhi”.

Si potrebbe anche trattare di un dipinto “laterale”, anzi sorprende che il Caravaggio sia riuscito a pubblicarlo senza imbattersi in un rifiuto o in una serie di censure.
Alla fine del 1606 Caravaggio giunse a Napoli, dove rimase per circa un anno. “Un’immersione entro una realtà quotidiana violenta e mimica, disperatamente popolare”. Il Caravaggio qui soggiornò per ben due volte. Nel primo soggiorno del 1606-07 erano già dipinte sia la pala delle “Opere di Misericordia” che quella della “Madonna del Rosario”. Il primo era un soggetto antico, comunale, romantico.

La seconda l’aveva dipinta con il cuore in mano in un momento di eccezionale schiarita. Si direbbe che mai il Caravaggio si sia sentito più libero che in questo primo argomento napoletano.

Il Caravaggio si apprestava ormai a partire per Malta. Del suo soggiorno maltese non restano che tre cose certe. Il gran quadro della “Decollazione del Battista”, il “ San Gerolamo” e l’ “Amore Dormiente”. Ma ancora altri dipinti possono ascriversi a questo soggiorno.

Purtroppo anche a Malta non tarda, per il Caravaggio, un seguito sempre più travagliato. Il 6 ottobre l’artista, scampato il carcere, si rifugia in Sicilia. Che il Caravaggio sapesse riprendersi rapidamente ad ogni breve schiavitù è riconfermato dal fatto che le opere siciliane sebbene condotte fra ansie e soprassalti continui per le insidie del persecutore maltese, non dimostrano che aumentino per l’arte.

Fra quelli di Sicilia il più antico è “la Sepoltura di Santa Lucia“, nella chiesa siracusana. Qui escogitò contrasti di misura, sbalzi tra i primi piani e campo lungo. Questo nuovo rapporto tra spazio e figura fu tentato da Caravaggio nella “ Resurrezione di Lazzaro” a Messina: Lazzaro stirandosi riemergere del sonno eterno attraversa col braccio destro l’oscurità fino ad attingere con la punta delle dita la luce.

Per i Cappuccini di Messina termina il Presepio coi Pastori ritentando di nuovo questo rapporto. L’altro Presepio dell’Oratorio di San Lorenzo a Palermo dipinto nel 1609 è il meglio conservato dei suoi dipinti siciliani.

Nella tarda estate del 1609 il pittore ritorna a Napoli con un secondo periodo napoletano. I dipinti più importanti di questo secondo soggiorno a Napoli sono “la modella della Salomè“, stessa che aveva figurato due anni prima, proprio come la Madonna del Rosario anche se qui la condotta è più violenta.

Intanto da Napoli giungevano notizie che, per l’intercessione del cardinal Gonzaga, la revoca del bando capitolare per il Caravaggio fosse già sullo scrittoio di Paolo V. Il pittore infatti muovendosi da Napoli verso Roma non sceglie la via di terra ma di mare. Si avvia così da Napoli verso Port’Ercole, uno dei presidi spagnoli della costa, per attendervi, si direbbe, più certa novella di via libera per Roma.

Fermato allo sbarco per uno scambio di persona; rilasciato senza che gli riesca di recuperare le robe, il Caravaggio, che va scorrendo alla disperata il lido deserto e malarico, viene colto da un attacco di febbre perniciosa e muore di stento e senza cure, il 18 luglio 1610.

Famoso ed ammirato in vita, Caravaggio fu quasi completamente dimenticato nei secoli successivi alla sua morte, e solo all’inizio del XX secolo la sua importanza nello sviluppo dell’arte pittorica moderna fu universalmente riconosciuta.

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Caravaggio – La vocazione di San Matteo attraverso la luce

Il primo spunto mentale dell’artista per la Vocazione di San Matteo sia stata di raffigurarla come scena di giocatori d’azzardo perché sapeva che Matteo era un pubblicano, un agente di cambio, un appaltatore di gabelle e di dogane, e poiché in questi luoghi si cambia moneta e, dove si cambia, il gioco è facile a intavolarsi, nulla vieta questa scena si decida al momento che qualcosa (la luce), o qualcuno (il Cristo), venga a distogliere Matteo e i suoi compagnoni da una partita d’azzardo.

Ma che il pittore, rinforzando con gli strati successivi dell’esecuzione il quadrante della partitura tra la luce e l’ombra, venisse sempre più a gravare sulla fatale rilevanza dell’evento, questo è il segno di una nuova esperienza che succede a quella dello “specchio” degli anni adolescenziali; ed è l’esperienza ad uso pittorico di una “camera oscura”.

Nel Caravaggio è la realtà stessa a venir sopraggiunta dall’ombra per incidenza diventando causa efficiente della nuova pittura. “Non v’è vocazione di Matteo senza che il raggio, assieme col Cristo, entri dalla porta schiusa e ferisca la turpe tavolata dei giocatori d’azzardo.

La luce che rade sotto il finestrone, spartita dall’ombra lascia riflessi fiochi, sospende nell’aria la mano del Cristo mentre l’ombra corrode il suo sguardo, striscia sulle piume si intride nelle guance, si specchia nella sete dei giocatori, sosta su Matteo che addita se stesso quasi chiedesse: vuol me?”.

Nel giro di pochi anni la sua fama crebbe in maniera esponenziale, Caravaggio divenne un mito vivente ma nonostante ciò crescevano a dismisura anche le gelosie e i contrasti con la società artistica.

Quanto al celebre processo del 1603, promossogli dal Baglione (suo futuro biografo), fu causato dalla storia della committenza ambitissima per la “Resurrezione di Cristo”, che il Baglione aveva soffiato al Caravaggio.

Nella querela Baglione accusa di aver scritto e diffuso un libello scurrile e ingiurioso ai suoi danni, ma quando Caravaggio compare di fronte al governatore di Roma afferma di non dilettarsi «de compor versi né volgari né latini», di non saper nulla dei sonetti incriminati anche se non «ce sia nessun pittore che lodi per buon pittore Giovanni Baglione».

Nel corso della deposizione Caravaggio dichiara inoltre di stimare per «valent’huomini» il Cavalier d’Arpino, Annibale Carracci e il Zuccai. Interrogato dal governatore su cosa intenda per «valent’huomini», l’artista espone in maniera chiara e concisa la sua idea del mestiere dell’artista: “ in pittura valent’huomo che sappi depingere bene et imitar bene le cose naturali“.

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